1
Martin era esausto, ma anche emozionato. Voleva sapere. Ingurgitò tre pasticche di magnesio in una volta sola e afferrò il primo libretto.
Notò subito il titolo sulla copertina, vergato a mano: «Incontro con Eris».
Ebbe la senzazione di trovarsi di fronte a qualche verità incomprensibile, fantastica.
Con un certo timore passò alla seconda pagina e cominciò a leggere quello che sembrava un romanzo breve.
2
DALLA CARTELLA ROSSA DI MAX
Incontro con Eris.
Racconto di Max Stradivari
«Bertoldo e Ciacco pretendevano la tangente. Se avessi rifiutato, la ricompensa sarebbe stata la solitudine. È la solitudine, non la virtù che si oppone alla corruzione.
Jerez de la Frontera è una città dell’Andalusia, di pietra e di giardini. Siamo arrivati di sera dopo un lungo viaggio in auto di oltre duemila chilometri ed abbiamo incontrato subito una città frastagliata di palazzi bellissimi che mescolano lo stile del Rinascimento ad elementi islamici e al gotico spagnolo.
Per Bertoldo, l’Impiegato, e per Ciacco, il Direttore, il vero problema era trovare un albergo di lusso: il Castello del Parador era il posto giusto.
Da lì prendemmo un taxi e andammo in un ristorante, egualmente di lusso, nel centro storico. Lo sfarzo del luogo, secondo Ciacco, avrebbe dovuto facilitare la chiusura del patto, ma io del patto ero all’oscuro, ero concentrato su ciò che avremmo dovuto decidere il giorno dopo.
Si trattava di una grande idea. Qualche geniale ed anomalo funzionario di Bruxelles aveva recuperato i fondi per dar vita a una testata europea, della quale avrebbero fatto parte tanti piccoli giornali indipendenti sparsi dal Nord al Sud, dall’Est all’Ovest del vecchio continente.
Il finanziamento sarebbe transitato attraverso i dipartimenti di molte province europee. Acquacheta era stata scelta come il Dipartimento capofila, quello che avrebbe gestito i soldi.
La cena andò benissimo. Fino al cognac. Dopo il cognac, il Direttore guardò l’Impiegato scoprendo il piano. Lui cambiò umore e la sua voce mutò: “Saremo noi, noi del Dipartimento di Acquacheta, che avremo il compito di amministrare i conti”, disse Bertoldo senza sotterfugi”.
“Sarà il direttore della rivista di Acquacheta a realizzare il progetto editoriale, a scegliere i collaboratori, mettere in piedi l’organizzazione, inventare il settimanale cartaceo e il giornale online”.
“Max”, continuò Bertoldo “avrai un sacco di soldi da spendere. Però sia chiaro: se non ci darai la nostra parte, noi la convenzione non la firmeremo”.
“Ma ti rendi conto?” borbottai sbigottito. “Abbiamo viaggiato per duemila chilometri, stiamo realizzando un piccolo grande giornale che darà voce a tutti i Promèteo incatenati nelle montagne più nascoste d’Europa e tu mi chiedi la tangente, la tangente per realizzare una grande idea”.
“Così va il mondo”, disse Ciacco.
“Che devo fare?” borbottai.
“Devi darci la nostra parte.”
“Va bene”, sospirai disperato.
“La nostra parte è trentamila euro. A testa”.
“Va bene” e non dissi più nulla.
3
Bertoldo è un tipo particolare. Lo sapevano bene negli uffici del Dipartimento.
Era costantemente preso dal desiderio di apparire e per questo era pericoloso.
I suoi miti erano gli Alti Ranghi. I suoi capi lo portavano nei ristoranti di lusso e con una cena lo ammaliavano. Poi lui per giorni raccontava, a chi aveva la circostanza di incontrarlo, i dettagli dei piatti prelibati e del vino D.O.C. bevuto in compagnia dei suoi idoli.
Tutti sapevano che Bertoldo non era un genio, ma aveva pregi ben più rilevanti. Era un piccolo burocrate servile, fedele, affascinato, ossequioso.
Dopo il ristorante, cominciò l’esplorazione del centro storico di Jerez de la Frontera, affollato di movida, di pub, di ragazze attraenti.
Ero turbato, Ciacco se ne stava in silenzio, senza rivelare alcun stato d’animo, e ogni tanto sussurrava a Bertoldo qualcosa a bassa voce.
Stavo pensando a quello che era successo e non riuscivo a digerire, nonostante la cena mi fosse sembrata leggera e insuperabile.
“Cazzo”, pensai “sono qui per realizzare un’utopia, trenta testate piccole, indipendenti, che stanno per federarsi in un’unica testata europea! E perché ciò avvenga devo pagare la tangente! Cazzo!”
Non sapevo cosa fare.
Per distrarmi guardai una giovane donna che mi stava passando davanti agli occhi.
“E’ bellissima!”, esclamai, senza rendermi conto che parlavo da solo a voce alta.
“Concordo”, annuì Bertoldo, molto rilassato giacché il patto di corruzione era stato siglato.
Seguimmo la ragazza bionda. Camminava ancheggiando e mostrava sotto la minigonna un paio di gambe perfette. Entrò in un pub e si avvicinò al banco del bar. Ci sedemmo vicino a lei, l’Impiegato tirò fuori i soldi della missione e ordinò una bottiglia di champagne. Poi ancora un’altra. Bevevamo e le sfioravamo le gambe lisce e abbronzate.
Il suo volto aveva il colore dell’alba e comunicava un vigore crudele che apparteneva, contrariamente alla sua carnagione, a chissà quale pianeta.
I suoi occhi erano impressionanti: ci guardavano con una forza ipnotica che si amalgamava alla perfezione delle sue tette, delle sue gambe, del suo corpo snello.
A tratti le sue pupille si rilassavano e la sua bocca si assottigliava in un sorriso. Eris, la tentatrice, la potente dea della discordia, capace di trasformarsi in mille donne, ci aveva sedotti, anzi rapiti, stregati, ammaliati.
Spudoratamente ci chiese di fotografarla con le gambe accavallate e la camicetta sbottonata sul reggiseno nero. Poi ci intimò dolcemente di mettere quell’immagine nella tasca della giacca. E di esserle fedeli.
Ciacco tirò fuori la sua nuovissima macchina digitale e le fece un ritratto, poi le disse: “Stamperò la tua foto e la porterò sempre con me”.
4
Nella rappresentazione della bellezza ognuno di noi dà forma alla proprie idee platoniche.
La corruzione ha in sé una grande bellezza. Bisogna lasciarsi andare, abbandonarsi, se si vuole capire fino in fondo che cosa sia veramente: perversione, ma anche bellezza.
La corruzione è un problema teologico più complicato del problema del male. L’atto della corruzione è un’esperienza che rivela ogni volta una nuova vertigine. L’orgasmo che il corrotto prova nel momento preciso in cui il fluido della tangente, con la sua forza magnetica, passa di mano è un’esperienza senza uguali.
Il male possiede uno strano fascino. In quel grande buco metafisico del male circondato dal fascino si cela il mistero della corruzione.
La corruzione salverà il mondo?
5
Tornato in albergo a tarda notte, mi sentivo stordito. Mi avevano fatto sedere a un tavolo e mi avevano fatto accettare un patto, dal quale ero attratto come da una vertigine.
Pensavo agli occhi della dea Eris, al suo sorriso di sirena e avevo una gran voglia di assaporare la beatitudine della corruzione.
Stavo accettando di corrompere me stesso nel campo d’azione che più mi rappresentava, in un campo d’azione che per me aveva il valore di una missione. La mia debolezza mi sembrava ripugnante. Ma ne ero attratto.
Non riuscivo a dormire.
Finché accadde qualcosa. Non so cosa. Decisi di partire subito, in piena notte, senza avvisare i miei compagni di viaggio.
Bertoldo e Ciacco erano arrivati insieme a me, con la mia auto. Alla mattina scoprirono di essere rimasti a piedi a oltre duemila chilometri da casa.
6
Ero salito in macchina, una Mercedes blu, comoda e spaziosa. Dovevo decidere l’itinerario, se seguire il percorso per Malaga e la costa oppure puntare verso Siviglia e poi da lì risalire verso la Francia e l’Italia.
Scelsi Siviglia. Erano appena passate le sei del mattino, pensavo a quello che stavo facendo e tutto mi sembrava irreale.
Avevo portato il mio spirito alla lingua del cobra e ora stavo fuggendo. Mi guardavo da fuori e sentivo di appartenere al mondo della corruzione come una faccia che ci appare in sogno appartiene al mondo reale.
Dopo quattro ore di viaggio intravidi in lontananza la sagoma della città di Siviglia. Il cartello verde dell’autostrada indicava la direzione “Centro”.
Misi la freccia e puntai verso il casello.
7
Ci sono personaggi nel vortice dei soldi che passano attraverso i finanziamenti europei che appartengono alla cosiddetta “Selva Oscura”, quel luogo che secondo Dante sta tra la Terra e l’Inferno. Sono i mediatori della Tangente Europea.
A un convegno o a una cena o a una riunione mondana è possibile trovare sempre qualcuno di loro. Possiedono la grande arte di far sorridere sindaci e sindache, presidenti e assessori, funzionari di dipartimento e di regione. Non dicono mai cose troppo intelligenti, né troppo comiche e fanno in modo che tutto quello che dicono siano piccolezze che tranquillizzino chi ha in mano la cassa dei soldi. Si considerano istruiti ed eleganti e non tralasciano mai di raccontare, con falsa modestia, l’ultimo viaggio di lavoro a Bruxelles. Hanno tutti una fantasia ricorrente: quella di arrivare un giorno a frequentare la City.
8
Ad Acquacheta, il personaggio chiave del mondo di mezzo era Bernardo Madolfi.
Giacca blu Burberry, pantaloni beige Burberry, camicia azzurra Burberry, cravatta di cashmire, si presentò grintoso all’appuntamento, che mi aveva richiesto prima che partissi per Jerez de la Frontera. Era molto seccato.
“Gli eretici sono i distruttori dell’Ordine Europeo. Smettila di fare l’eretico, stai creando problemi a tutti noi. Come fai a non capire che così va il mondo”.
“Quindi” soggiunse cambiando voce e assumendo un tono pacato e gentile “tu darai a Bertoldo e a Ciacco quello che ti chiederanno. Io gliel’ho già dato. Così vivremo tutti felici e contenti”.
“Non credo che mi chiederanno qualcosa” risposi, senza far trasparire il più piccolo turbamento.
9
Eretici?
L’azione si svolge in Spagna, a Siviglia, al tempo più pauroso dell’Inquisizione, quando ogni giorno nel paese ardevano i roghi per la gloria di Dio e con grandiosi autodafé si bruciavano gli eretici.
Egli volle visitare i suoi figli proprio là dove avevano cominciato a crepitare i roghi degli eretici. Egli scende verso le vie roventi della città, in cui appunto la vigilia soltanto, in un grandioso autodafé, alla presenza del re, della corte, dei cavalieri, dei cardinali e delle più leggiadre dame di corte, davanti a tutto il popolo di Siviglia, Torquemada, il Cardinale Grande Inquisitore aveva fatto bruciare in una volta, ad majorem Dei gloriam, quasi un centinaio di eretici.
Il testo che ho appena menzionato, tratto da “I Fratelli Karamazov” di Fëdor Dostoevskij, fa parte del capitolo “Il grande inquisitore”, fra le pagine più belle della letteratura di tutti i tempi.
Lo scrittore russo mette in scena il ritorno di Gesù. Milleseicento anni dopo.
È un manifesto contro l’imbecillità degli inquisitori, categoria mentale fatalmente legata alla violenza della corruzione. È soprattutto un inno agli eretici, i suoi figli eretici che “Egli volle visitare proprio là dove avevano cominciato a crepitare i roghi”.
10
Ero arrivato a Siviglia. Avevo passato una notte senza dormire. Ero turbato dai miei pensieri. Improvvisamente lo vidi, davanti alla fontana di “Plaza de la Virgen de los Reyes”. Torquemada veniva lento verso di me, i suoi occhi mi fissavano.
“Ti brucerò sul rogo degli eretici!” mi urlò.
La mia anima si dibatteva, tremante e spaurita. Poi sentii la sua mano sulla mia spalla. E mi svegliai.
Il cameriere del Bar Catedral, situato proprio di fronte alla Cattedrale di Santa María de la Sede, la più grande di Spagna, edificata sull’antica moschea di Almohadi, mi porse il caffè che avevo ordinato qualche minuto prima.
Il piano di marmo rosa del tavolino, a cui mi stavo appoggiando, rifletteva un’enorme testa di toro imbalsamata, appesa ad un pilastro all’interno del caffè. Era una testa di toro del colore della pece, con le corna e le narici bianche. Emanava un’espressione di forza, una forza sbalorditiva. Sembrava che tutta la forza del potere di Torquemada si fosse concentrata in quella testa di toro. Gli occhi di quella testa mi guardavano intensamente e più mi avvicinavo, più guardavano fin dentro di me. Vivi e spietati.
Quegli occhi cominciavano ad attrarmi, erano gli stessi occhi della ragazza bionda di Jerez de la Frontera. In quegli occhi era sancito l’ordine minaccioso, inviolabile, di sottomettermi. Sembrava che fossero stati strappati dal corpo di Torquemada e messi lì, chirurgicamente, in quella testa, per perpetuare il potere del Grande Inquisitore.
Subito dopo dalle labbra del toro uscirono delle parole: “Perché vuoi disturbarci? Sai che cosa succederà domani? Domani stesso io ti farò ardere sul rogo, come il peggiore degli eretici. E tutti coloro che oggi ti ammirano, domani, a un mio cenno, attizzeranno il tuo rogo. Lo sai? Sì, tu lo sai”.
La bellezza della corruzione mi stava chiamando, sentivo che si stava incarnando dentro di me quell’orribile demone che ti trasforma da eroe in corrotto.
Ero spaventato.
Mi balenò il pensiero di mollare le mie stupide idee e di tornare a Jerez de la Frontera, da Bertoldo e da Ciacco. Avrei pagato, mi sarei sottomesso e avrei goduto a più non posso con la giovane ragazza bionda grazie ai soldi del Dipartimento di Acquacheta.
Al diavolo, proprio così, al diavolo l’informazione indipendente!»
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