La storia della Lunigiana è anche storia di grandi amori, avventure galanti, personaggi fascinosi. Vogliamo provare a raccontarla. Gli esperti. gli scienziati. gli storici col pedigree ci perdonino l'intrusione: è lontana da noi l'idea di insegnare qualcosa a chi sa già tutto.
PONTREMOLI NASCE DA UNA STORIA D'AMORE
Poteva essere bello sin che voleva. essere un valoroso guerriero, ma con un nome così si presentava davvero male: Treponzio. “Piacere. Treponzio", immaginate di doverio dire a una ragazza appena conosciuta. Non vi verrebbe la paura che quella si metta a ridere?
Si, ai nostri giorni un nome così sarebbe una palla al piede per qualsiasi tentativo di approccio. Ma evidentemente non era così nei tempi passati, anzi. State a sentire. ll nostro Treponzio era stato messo al comando di una legione dalle nostre parti nientemeno che da Alarico, re dei Goti. Mentre era qui a fare il comandante, un bel giorno mise gli occhi su una fanciulla del posto e si innamorò.
La bella, evidentemente, non andava troppo per il sottile in fatto di nomi, per cui non
trovò niente di male nel ricambiare l'amore del comandante. E si sposarono.
In genere, due che si sposano, pensano al massimo di mettere su casa. Invece Treponzio era uomo di grandi ambizioni, disdegnava i due vani più servizi. Aspirava a grandi spazi. Pensa e ripensa. gli venne una idea geniale: invece della solita casetta decise di costruire una intera città. E così fondò Pontremoli.
Almeno così dice la storia. Naturalmente quella da prendere con le pinze. Ma, veritiero o no, l'episodio la dice lunga sul ruolo che la donna e l'amore hanno sempre avuto in Lunigiana. Perchè se anche Treponzio e tutto il resto fossero una grossa panzana, resta il fatto che la leggenda nata dalla tradizione popolare individua una vicenda amorosa come causa del sorgere di una città. E’ innegabile che altre tradizioni, per vicende analoghe, hanno caratteristiche meno romantiche. Basta pensare a quando, da bambini, la maestra ci raccontava di Romolo che accoppava Remo sul solco che segnava il perimetro della futura città eterna.
Da noi in Lunigiana, di città eterne non se ne sono ancora viste, ma, se tanto mi da tanto, è meglio discendere dal buon Treponzio col debole per le sottane, che da un energumeno che scanna il fratello solo perchè attraversa un solco.
IL DON RODRIGO DI FIVIZZANO
Con queste discendenze, la Lunigiana non poteva che essere terra di grandi amori, o, perlomeno, teatro di grandi vicende amorose. Sublimi o squallide, passionali o platoniche:
non si sa da dove iniziare. Sciogliamo l’ imbarazzo con un paio di storie fosche popolate di personaggi alla Don Rodrigo e fanciulle innocenti immolate alla cupidigia di satiri spietati.
Il simpatico Treponzio che sin dalla fatidica prima notte non pensa ad altro che a fondare una città è molto lontano.
Siamo verso la fine del mille e seicento e precisamente a Fivizzano dove vive il conte Giuseppe Maria Felicini. A dispetto del cognome piuttosto mite, il nostro è abituato ad usare l'arroganza e la prepotenza come metodo di vita.
Così, quando un brutto giorno posa gli occhi su una ragazza del paese, decide che diventerà la sua amante senza averle chiesto non dico un assenso, ma neppure un parere. Per attuare il suo turpe proposito si serve di due circostanze che gli sono estremamente favorevoli. La prima è che la ragazza abita in una casa attigua alla sua, la seconda è che a quel tempo felice non esistevano ancora piani regolatori, abusi edilizi e permessi per costruire o modificare un'abitazione. Un bel vantaggio per chi, come Felicini, ha in mente di aprire un buco nel muro per mettere in comunicazione la casa della ragazza con la sua. Ma, se bastasse un varco in una parete per far sì che una bella coinquilina entri in casa d’altri, avremmo certi condomini ridotti come groviera. Ci vuole, naturalmente, anche la volontà della bella a usufruire del passaggio. Felicini supera l’ostacolo minacciando la fanciulla e la sua famiglia. Con l’aiuto dei suoi bravacci alla fine ottiene il risultato sperato. La tresca va avanti qualche mese, sinchè in paese non si co- mincia a mormorare del pertugio nel muro e dell’insolito uso che ne viene fatto. La cosa monta sino a raggiungere le dimensioni dello scandalo. I familiari della bella sedotta sono sul punto di ribellarsi alla situazione. Per non mollare la preda Felicini ha una sola scelta: rapirla. E così fece. Erano, quelli, tempi difficili in cui non si andava tanto per il sottile con i rapitori. Non c’erano sconti di pena per i pentiti, attenuanti, cavilli legali o cose varie. Con certa gente si ragionava a moschettate. E così un bel giorno le truppe del Granduca di Toscana Cosimo III arrivarono a Fivizzano con la scusa di una esercitazione. E la esercitazione la fecero davvero, ma sparando contro la casa del Conte dopo avergli inutilmente intimato di liberare la rapita. A Felicini, tanto amante dei buchi nel muro, non piacquero per niente quelli prodotti dalle palle di piombo nell’intonaco della facciata, e si arrese.
Quando i soldati entrarono della casa del Conte per cercare la prigioniera, si accorsero che il suo rapimento non era stato uno sconsiderato colpo di testa, ma la conseguenza di una pessima abitudine. Felicini evidentemente ci aveva già provato altre volte perchè, oltre alla ragazza di Fivizzano, fu liberata anche un’altra giovane rapita tempo prima a Bologna. Pare che fossero tutte e due incinte. Il conte finì i suoi giorni in carcere, ma non gli andò tanto male. Prima di tutto salvò la pelle. Secondariamente, a pensarci bene, la prigionia lo liberò dalla non trascurabile seccatura di avere due mogli.
IL VIZIETTO DEI MALASPINA
Stiamo, naturalmente, scherzando; le mogli non sono sempre una seccatura. Lo sapevano benissimo anche certi marchesi Malaspina, che per le mogli avevano una vera predilezione. Le mogli degli altri.
Strenui difensori del “diritto della prima notte”, alcuni di essi non esitarono ad esercitarlo sino alle estreme conseguenze. Si sa che allora le fanciulle da marito dovevano compiere la prova generale della prima notte di nozze col signore del feudo, ma non è altrettanto risaputo il modo in cui i malcapitati fidanzati accettavano la circostanza. Pare non proprio allegramente, se è vero che due marchesi di Godano furono uccisi a badilate dai futuri mariti inferociti e dai parenti delle promesse spose.
Tra la stirpe dei nobili Signori della Lunigiana vi fu anche qualche ardito giurista che interpretò il diritto in modo piuttosto estensivo. Come i due Marchesi di Olivola che, oltre
alla prima notte, si presero anche la seconda e terza e via dicendo con la moglie di un valoroso capitano. Mentre il prode guerriero combatteva in Francia, i due, anzi i tre, se la spassavano allegramente nel castello sopra ad Aulla. Un giorno però il capitano ritornò e,
quando si accorse del triangolo, mise in pratica quello che la guerra gli aveva insegnato a fare tanto bene: accoppare la gente. Uccise tutti e tre i protagonisti dell’intrigo amoroso, poi, temendo la vendetta dei parenti delle sue vittime, ritornò a fare la guerra nella patria dello Champagne.
LA BELLEZZA PROVERBIALE DI ANNA MALASPINA
Per combattere un altro tipo di guerra raggiunsero Francia, terra di grandeur, anche altri personaggi della piccola Lunigiana. Due donne bellissime, che, completamente disarmate,
potevano valere più di un intero esercito.
Dalla loro avevano un fascino indiscusso che i politici del tempo cercarono di usare per influenzare l dcisioni di re e imperatori. Nel castello della Bastia, sopra Licciana Nardi, nacque Anna Malaspina. La sua bellezza era proverbiale e per lei una turba di poeti più o meno famosi si scatenò in liriche amorose e poesie appassionate. La bella Anna non accese soltanto la fantasia degli esperti in versi e rime. Quando ci fu bisogno di intervenire per questioni politiche presso il re Luigi XV, ci fu chi pensò a lei.
Le sue grazie furono contrapposte nientemeno che a quelle universalmente note di Giovanna Antonietta Poisson, marchesa di Pompadour, favorita del successore del Re
Sole. Fu una gara difficile, combattuta dalla rappresentante della nostra terra con accanimento e passione.
Ma, in fatto di seduzione, fu come sbattere sul quadrato un peso piuma contro un peso
massimo. L’esperienza e il mestiere di madame di Pompadour ebbero la meglio sulla grazia e il fascino di Anna. La bella lunigianese, insomma, resistette per diverse riprese, non finì al tappeto, ma perse decisamente ai punti. Il re, dopo aver fatto le opportune prove, si tenne la vecchia favorita e per Anna non ci fu che la via del ritorno.
LA CONTESSA DI CASTIGLIONE
Ai tempi del risorgimento la più bella donna d’europa era Lunigianese. Precisamente di La Spezia. Si chiamava Virginia Oldoini e a diciotto anni sposò il cugino di Cavour, Francesco Castiglione. La bellezza non era che una delle tante qualità che la ragazza possedeva. La sua eleganza era proverbiale, era colta, intelligente e dotata di un carattere fortissimo. Dopo che l’ebbe conosciuta, Cavour non ci pensò su un attimo ad affidarle una missione “diplomatica” delle più difficili. La contessa Castiglione si trasferì a Parigi e usò tutto il suo fascino per incantare Napoleone III e convincerlo a sposare la causa italiana. Misurare il grado di riuscita dell’impresa è onestasmente difficile, resta il fatto che l’Imperatore non fu certo insensibile alla bellezza della nobildonna spezzina. Oltre al cuore di Napoleone III, Virginia Castiglione conquistò anche quello della capitale francese. Per un certo periodo fu l’ospite più ricercato dei salotti e
delle feste, non si contano i personaggi del tempo che si innamo-
rarono di lei. La sua vita diventò leggenda. Una leggenda dal finale drammatico. La donna che col suo fascino aveva forse influenzato le sorti di una nazione, non accettò l’idea di perdere, con gli anni, la bellezza e la fama. Quando i segni del tempo cominciarono a mutare il suo aspetto, non uscì più di casa perchè nessuno potesse vederla invecchiare. Giunse ad ordinare alla servitù di oscurare tutti gli specchi: la vista della sua bellezza sfiorita le era insopportabile. Quando morì, pochi si ricordarono di lei.
LA DAMA VELATA E IL DUCA DI PARMA
La Lunigiana non è stata soltanto base di partenza di spedizioni sentimentali verso la conquista di cuori blasonati.
E’ accaduto anche il contrario. Carlo
III di Borbone, Duca di Parma, veniva spesso dalle nostre parti accompagnato dal suo variopinto seguito.
Era dell’idea che non vi fossero posti migliori dei nostri per le battute di
caccia e le esercitazioni militari. E
anche per qualcos’altro. Le schioppettate alle lepri o ai fagiani e le
manovre delle truppe non lo impegnavano, infatti, più di tanto. Appena aveva un momento libero, pare che si ritirasse nelle stanze del1’albergo del Pavone, a Pontremoli, in
compagnia di una misteriosa signora: la “Dama Velata”.
Sull’identità del personaggio misterioso si sono fatte molte congetture: c’è chi giura che si trattasse di una nobildonna del luogo, e chi sostiene che fosse la discendente di una antica famiglia
fiorentina.
La tradizione popolare è,
invece, categorica: la “Dama Velata” era una giovane di Bratto che un
giorno aveva ammaliato il Duca
preparandogli una «patona» così
buona da fargli perdere la testa.
L’ipotesi è senz’altro suggestiva,
perchè getta nuova luce sulle reali
proprietà dell’umile piatto delle
nostre montagne.
TERESA COPPINI, LA NOBILDONNA AMATA DA D'ANNUNZIO E GUIDO DA VERONA
Una discendente della nobile
famiglia Coppini abitava in una
bellissima villa a pochi chilometri
da Pontremoli. Donne così
belle non se n’erano mai viste
in Lunigiana. Teresa Coppini era di un’eleganza raffinatissima affidata
a sartorie fiorentine, girava a
bordo di una splendida Isotta
Fraschini. Alla bellezza e allo
stile, la nobildonna univa intelligenza e cultura. Ce n’era
abbastanza per fare del suo
salotto il più ambito da uomini di cultura ed intellettuali.
lntomo al suo personaggio
sorsero delle vere e proprie
leggende, come quella che la
voleva amante di D’Annunzio, che sicuramente per un certo periodo la frequentò. Fra le “vittime illustri”
del suo fascino vi fu Guido da
Verona, lo scrittore di maggior successo commerciale degli anni venti e che più volte si ispirò alla nobildonna nella descrizione di personaggi femminili misteriosi e affascinanti. Il suo romanzo «Mimì Bluette fiore del mio giardino», raggiunse nel 1922 le 300.000 copie.
L’attenzione del romanziere e l’amicizia che ne ebbe in cambio non
furono mai considerate con troppa
benevolenza dai frequentatori della
casa Coppini. Fra tutti lo storico
Giuliani, che non si capacitava come
la signora potesse accettare anche
solo le attenzioni di quello che deifniva «scrittorello da strapazzo».
La
ragione di un giudizio così drastico
stanno nel fatto che lo stesso Giuliani non era immune dal fascino della
Coppini. Una volta il mezzadro che
abitava nei pressi della bellissima
villa abitata dalla nobildonna, lo sorprese a vagare nei campi in piena
notte e gli chiese cosa facesse lì a
quell’ora. La risposta, piuttosto diplomatica, fu: “Stavo studiando le
stelle”.
Da allora “guardare le stelle”, da quelle parti significa più o
meno “andare a morosa”. Si dice
che, nel tentativo di competere con
antagonisti molto più “di mondo” di
lui, lo studioso pontremolese facesse all’amata i doni più esclusivi, come le ciprie che faceva arrivare apposta da Parigi. Fu, pare, tutto inutile.
La bella signora continuò a popolare soltanto i sogni del del suo spasimante che si era ritirato a vivere in
un vero e proprio “nido d’aquila”:
una casa solitaria appollaiata sulla cima di una collina scoscesa.
Sotto la collina, ironia della sorte
o scelta romantica, sorge la Villa
di Teresa Coppini
L'AVIATORE DI LIALA
Se sotto i cieli della Lunigiana
sono nate tante vicende sentimentali da poter riempire qualche
romanzo, nel cielo della Lunigiana ha volteggiato l’ispiratore di innumerevoli storie d’amore. Quelle
storie d’amore che sono racchiuse in
quei piccoli volumi dalle copertine
illustrate dove uomini fascinosi abbracciano donne sognanti sullo
sfondo di paesaggi lontani. Sono i
libri di Liala, la regina del romanzo
rosa, che hanno fatto sognare e piangere generazioni di nonne e di
mamme.
Trovare un libro di Liala
dove il protagonista più fascinoso
non sia un aviatore, è come girare per
un giorno in Vaticano senza incontrare un prete. Ci si può chiedere
dove Liala abbia trovato l'ispirazione per questo personaggio. La risposta è scontata: naturalmente in Lunigiana. Proprio così. Quasi certa è la
frequente presenza di Liala a Ca’ di
Mare, a La Spezia, in attesa di un bel
pilota che discendeva sul mare a
bordo del suo idrovolante. La nascita del personaggio in questione è
contesa fra Pontremoli e Aulla, mentre lo scenario della sua storia sentimentale si allarga a tutta la Lunigiana. Cielo compreso.
Oltre ad essere
l’ispiratore ideale, il comandante era
anche il consulente tecnico dei romanzi. Basta leggerne poche pagine
di uno qualunque per capire che certe descrizioni appartengono a
uno del mestiere. Quanto durò la
relazione di Liala con il “lunigianese volante”, la storia non lo
dice. E’ però innegabile che
Liala ha scelto la Lunigiana
come teatro del suo personale romanzo d’amore.
Rassegniamoci, lo dice un’esperta: per certe
cose la nostra è la terra adatta.
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